L'affetto e l'ammirazione per Arietto, consolidate da una conoscenza e frequentazione ultraventennale, rischiano di portarmi a tracciare un profilo "partigiano" di un'amicizia sincera, sempre leale, affettuosa, disinteressata; ma ciò non toglie nulla al significato della mia testimonianza. Anzi, è la conferma che, anche questo, è un elemento costitutivo, non casuale, di un rapporto. Un sodalizio così lungo, fra amici, non regge nel tempo se non c'è questa profondità che è umana, intellettuale, spirituale. E che, come tale, resta intatta, senza calcoli e tentennamenti, anche nelle alterne vicende della vita di ciascuno. Quali sono i dati caratterizzanti, per me, nella personalità di Arietto, mi domando in questa riflessione tutta mia personale, che ho l'orgoglio, l'onore e l'opportunità di rendere pubblica? In questo breve spazio, non voglio parlare delle cose, pure interessanti, che ancora oggi restano, e che abbiamo fatto assieme in una fertile collaborazione professionale e istituzionale. Mi piace invece offrire due... "pillole", di un profilo dell'uomo come lo vedo e come l'ho vissuto in questi anni. Il suo tratto gentile intanto. Sempre. Con tutti. Mai artificioso perché non costruito sui registri del semplice bon ton. Una vera signorilità d'animo che la senti venire da dentro. Naturale. Generosa. E che si riflette nella dolcezza di un sorriso che quasi "somatizza" i sentimenti dell'anima. Più volte, negli incontri sempre piacevoli con lui, mi è venuta in mente l'immagine del "poeta dell'anima" come Whitman si definisce.
Di una poesia non scritta, ma realmente declinata nei sentimenti alti dei rapporti interpersonali. Ma lo stupore verso una personalità siffatta, sta sia nelle qualità in sé di questo primo tratto delineato, sia nel raffronto con il duro mondo del business in generale e di quello immobiliare in particolare. Dove non c'è molto spazio per il rigore, la regola, la morale, figuriamoci per la poesia, la gentilezza, la signorilità.
Un "lusso", queste qualità, che un uomo d'affari del nostro tempo non può permettersi. Eppure Arietto, visto anche nella quotidianità del suo lavoro (che ha sempre fatto con un amore, una passione ed un corretto interesse al profitto imprenditoriale) è tutto questo. Ed è per questo che, anche nel suo mondo, un uomo come Arietto, spicca come una rarità. Ma nel vivere con finezza intellettuale i valori ed i piaceri della vita, non si può trascurare di ricordare, perché intimamente legati ai dati di fondo della sua personalità, altri due caratteri distintivi di Arietto. La curiosità del viaggiare e dello scoprire i mondi più diversi da vero uomo della contemporaneità. Ma su tutto spicca, forse ancora di più, la passione per il teatro ed ogni forma di rappresentazione: da quelle popolari a quelle più raffinate. E in questa passione, ho colto in lui una speciale predilezione per il teatro comico, quasi convinto, come dice Karen Blixen che "la vera arte degli dei è il comico: quella condiscendenza del divino verso il mondo dell'uomo". Le sue amicizie predilette in quel mondo, il senso dell'umorismo e della battuta, sono un alimento di cui uno spirito, così semplice e profondo insieme, sente evidentemente il bisogno di nutrirsi condividendone il piacere con gli altri.E forse anche per questo suo modo di guardare alla vita, da Arietto non senti mai uscire una cattiveria, mentre larga, è invece, la stima e la considerazione di cui gode. Mai mi è capitato di sentire, nei suoi confronti un giudizio men che lusinghiero. E del resto anche di fronte a gravi scorrettezze, di cui magari talvolta lui stesso è stato vittima, lo senti amareggiato, ma mai veramente arrabbiato. Anche nel linguaggio corrente, quando capita di parlare di lazzaroni autentici, e Dio sa se ce ne sono, lui li chiama "birichini"! Una sorta di bizzarro pudore che, in un mondo dominato dagli spudorati, è pur sempre una bella lezione di stile. Ma anche qui sta il senso di una vita esemplare e il privilegio vero di chi ha avuto la fortuna di incontrarla vivendone, ancora, con autentico piacere, i valori veri dell'amicizia. Grazie Arietto e tanta, ma tanta, buona fortuna, come ti meriti, per molti anni ancora.
Sono arrivato da Paletti nel 1970 senza nessuna esperienza del settore, poiché provenivo da uno studio di architettura. L'intermediazione immobiliare era allora un settore di lavoro nuovo con ampie possibilità di crescita, e l'attività si iniziava: "battendo i marciapiedi" alla ricerca del prodotto, facevamo un po' di tutto, ma il fiore all'occhiello era il frazionamento di interi immobili. Ricordo sempre con nostalgia i ritrovi domenicali alla pasticceria "Panarello" per un caffè: ore 08.30 Gruppo vendite e capi e poi ... tutti al lavoro con entusiasmo e voglia di fare.
I rapporti con Paletti erano buoni, ma il carisma e la personalità del capo erano forti . .. molto forti.
I consigli, la preparazione professionale, la determinazione nel raggiungere il risultato sono doti apprese in quel periodo, sono e lì cose che ho trasmesso a mia volta ai giovani che hanno contribuito al mio piccolo successo nell'ambiente del mercato immobiliare.
Sapeva comandare e, virtù di pochi, senza farlo pesare; seguiva i suoi dipendenti con parole buone e con prudenti consigli ma anche badando al sodo, ne capivi le esigenze e li accontentavi in tutti i modi possibili. Portava i suoi dipendenti in gita premio a Madrid o a Parigi trascurando forse un po' troppo il Dio denaro, e ugualmente ha fatto conoscere a dirigenti di banca le più importanti città d'Europa con magnanimità squisita. Come dimenticare la banda che ci accolse alla stazione di Budapest? La sua maggiore virtù era la gioia che provava nel donare sempre a tanti con generosità e calore. Nello stesso spirito era il mecenatismo con cui ha sostenuto alcune istituzioni culturali cittadine, come il Poldi Pezzoli e il teatro Carcano. Teneva allegri collaboratori, dipendenti e soci con battute e barzellette e amava anche le belle donne ... e anche questa è una vera virtù in un mondo di perversione ... Ho solo un cattivo ricordo legato ad Arietto: i falsi amici, non tanti, tra quanti gli professavano amicizia, e che gli hanno voltato le spalle".
Ho iniziato l'attività lavorativa presso lo studio del ragionier Paletti nel 1965 e allora svolgevo attività contabili e fiscali; nel 1968, con il primo frazionamento in via Bianca Maria di Savoia e l'anno dopo mi sono messo a fare la professione del mediatore; ricordo che allora come giovane di studio c'era anche Sestilio Paletti, che di strada ne ha poi fatta molta. Per me il ragionier Paletti è stato un grande maestro, non solo per la professione. In 45 anni di conoscenza la mia stima e il mio affetto nei suoi confronti sono sempre cresciuti e confido di continuare a collaborare con lui con la stessa professionalità, onestà e, se mi posso permettere, "sentimento".
Arietto Paletti oltre alle tante cose normali che ha fatto nella vita ha compiuto anche un "miracolo". E' riuscito infatti, grazie alla sua carica umana, alla sua simpatia, al suo spirito di iniziativa ed alla sua vitalità, a fare incontrare per molti anni fuori, dell'ambito di lavoro, tutti i direttori delle filiali milanesi dei più importanti istituti di credito e a far nascere tra loro, anno dopo anno, un rapporto di amicizia. Amicizia vera e propria, duratura, e non di circostanza, come quasi sempre succede in questi ambiti e per la verità anche in molti altri.
La vita è come la bicicletta, se non pedali cadi. Tu mi hai fatto constatare durante un lungo percorso in pianura, in discesa ma anche con dure salite come si pedala, come ci si alza sulla sella più forte sui pedali fino a raggiungere il traguardo senza mai cadere.
Ricordo che a un certo punto l'autodromo di Varano de' Melegari rischiò di cessare la sua attività nonostante mio padre Romano e il presidente dell'Aci di Parma, Giancarlo Saracchi, vi avessero profuso le loro migliori energie e risorse per costruirlo e renderlo vitale. L'incontro con il commendator Paletti, che subito credette nel futuro dell'impianto, segnò una decisiva svolta, rimasta nei cuori di chi allora era impegnato in autodromo e riaccese la fiducia di tutti, consentendo di superare ogni ostacolo fino a poi raggiungere i livelli di oggi. L'intitolazione dell'autodromo a Riccardo Paletti volle anche scolpire questo ricordo, affinché resti nella memoria di tutti quelli che hanno avuto a cuore ed avranno a cuore questa iniziativa.
Abbiamo conosciuto il commendator Paletti, Arietto da quando siamo diventati amici, nel 1978 e con lui abbiamo conosciuto la montagna lombarda: l'Aprica, che era "il paese più bello al mondo", per dirla con un' espressione familiare ad Arietto, dato che la usava il suo amatissimo Riccardo. Anche se stiamo parlando di un esperto del mondo immobiliare milanese e di un assiduo frequentatore del posto non deve essere stato facile per Arietto centrare il pieno successo anche nelle iniziative edilizie in quell'ameno luogo, ma ci è riuscito a perfezione al punto che ancora oggi - a distanza di trent'anni - le sue case vengono indicate come quelle di Paletti e con l'indicazione del toponimo. Non poteva essere diversamente data la somiglianza che corre tra il carattere fermo e deciso dell'uomo che si connota peraltro per le sua estrema delicatezza dei modi e la dolcezza delle forme con cui si presenta la montagna lombarda, che pure presenta ambienti aspri e forti.
Ricordo di uno dei nostri viaggi. Eravamo a Parigi: ci fu servito un aperitivo su vassoi d'argento da camerieri in guanti bianchi, che sbucarono dalla scala del metro e con grazia parigina cominciarono a chiederci: "Champagne, madame? Et vous monsieur?". Et voilà. Un'idea geniale, oggi si direbbe "alla grande", un gesto di signorilità come il suo essere gli suggeriva. La cena seguì in uno dei ristoranti à la page, -le Taillecourt- dove mangiammo solo alla luce di candelieri a otto braccia che irradiavano una luce soffusa ma sufficiente a farci guardare negli occhi. Eravamo in dodici a tavola; le dame erano tutte belle e con i loro abiti adeguati all'ambiente. Il clima però divenne ben presto cordiale e passammo alle barzellette, che in apparenza ben poco si intonavano all'austerità della sala, soprattutto per il loro contenuto; presto l'allegria divenne contagiosa e nonostante parlassimo in italiano gli altri clienti francesi e stranieri cominciarono ad appassionarsi. A un certo punto per raccontare una barzelletta mi tolsi la giacca, salii su una sedia, sul velluto cardinalizio e anche maitre e camerieri si fermarono a guardarmi ad ascoltare. Nel momento in cui mi tolsi la cintura come richiedeva la mimica della barzelletta per finire il racconto e feci finta di togliermi i pantaloni ci fu nella sala un'esclamazione di meraviglia poi seguita da una fragorosa risata e lunghi applausi. Arietto a quel punto prese un piattino e andò dal maitre, poi dai camerieri e infine dai commensali a chiedere un contributo per lo spettacolo improvvisato che avevamo messo su.
Il luogo era quello che negli anni successivi mi è diventato familiare, ma che a quei tempi ancora mi intimoriva: una sala della sede dell'Unione del commercio in corso Venezia.. Il momento era uno dei primi appuntamenti con il Caam, il nostro Collegio, un'assemblea a cui partecipai insieme ad una nutrita schiera di colleghi che non conoscevo ancora. Dopo ventitré anni passati nei cantieri dell'impresa per cui lavoravo avevo fatto la· scelta di tentare una strada tutta mia in una professione che mi ha sempre affascinato. Era una scommessa ma ero ancora intimorito anche se fortemente attratto da un ambiente che non conoscevo ancora molto bene ... Gli inizi anche se promettenti erano comunque stati faticosi, la mia attività si stava ampliando ma erano ancora numerose le notti tormentate dai dubbi sulla scelta fatta, avevo lasciato un posto che mi gratificava e che rendeva bene. Nel corso dell'assemblea mi si avvicinò Arietto Paletti, il presidente del Caam, il mio-nostro capo indiscusso. Venne a sedersi accanto a me e mi disse di avere sentito parlare bene di me, del mio metodo di lavoro, della mia professionalità e serietà, si complimentò e mi disse "Vai avanti così che vai bene". E' stato quel giorno che grazie a lui capii che avevo fatto la scelta giusta. Negli anni successivi ebbi poi modo di conoscere in modo più approfondito quello che mi stupì e che continua a stupirmi è la passione piena di sentimenti, la disponibilità a favore dei colleghi più giovani, mai impoverita dalla supponenza, quel suo modo di lasciarti fare senza gelosia ma aiutandoti invece a realizzare il tuo progetto. Ricordo i suoi successi e le sue tribolazioni, i suoi momenti amari e i suoi dolori. Nulla ha modificato il suo modo di essere, è stato il più grande ed innovativo in questa professione, quello che ha inventato il "moderno" agente immobiliare. Ma restando sempre un inguaribile sentimentale.
Quando ho cominciato a lavorare con Arietto la situazione non era facile in generale. Il settore delle nuove costruzioni fermo a causa della Legge Ponte Urbanistica. I proprietari di case intere erano terrorizzati da ventilate ipotesi espropriative o da incognite tassative oltremodo vessatorie. La mia esperienza sostanzialmente era di cantiere, non commerciale. Per me le case si costruivano, punto e basta. Manco sapevo che si vendevano. Anche perché all'epoca quasi tutti si viveva in affitto. Almeno a Milano, sia in casa che in negozio, ufficio o magazzino. Nelle fabbriche era diverso perché la logica industriale allora era indirizzata ad un farle radicamento nella proprietà immobiliare dove si produceva. In pratica si iniziava comunque dal basso. Non c'erano i manager. Prevaleva il buon senso e la voglia di fare. In ufficio i compiti venivano suddivisi secondo le capacità ed esperienza, del singolo. Trattavamo inizialmente singoli appartamenti. Fu di Arietto l'intuizione di offrire ai proprietari immobiliari l'opportunità di frazionare per loro conto le case intere, per potere ottenere maggiori introiti e l'iniziativa ebbe un successo di vendite clamoroso. Iniziavamo la campagna di vendita il giovedì ed al sabato (in 3 giorni) avevamo venduto tutta un'intera casa: e sto parlando di una casa occupata da inquilini, non libera. Da non credere. Ma eravamo i più bravi: dei veri Marines delle vendite immobiliari, anzi eravamo meglio di quelli del Vietnam.